Questo itinerario tocca le più importanti chiese, i palazzi e i templi della zona dell'antico Foro Boario, un'area sacra e commerciale dell'antica Roma collocata lungo la riva sinistra del fiume Tevere, tra i colli Campidoglio, Palatino e Aventino, che prese il nome dal mercato del bestiame che vi si teneva. Il primo edificio che incontriamo nel nostro itinerario è il Tempio di Ercole Vincitore o Ercole Invitto o Ercole Oleario (il tempio è talvolta ancora indicato popolarmente come Tempio di Vesta; l'errore è dovuto alla sua forma circolare che lo rende simile al vero tempio di Vesta situato nel Foro romano). Risalendo al 120 a.C. circa, questo è il più antico edificio di Roma di marmo conservatosi (foto 1-5). Poco distante si trova il tempio di epoca repubblicana dedicato al Dio Portuno, a lungo chiamato Tempio della Fortuna Virile (foto 6-8). L'edificio si presenta di ordine ionico, tetrastilo (con quattro colonne in facciata) e a pianta pseudoperiptera, ossia con colonne libere anteriormente in corrispondenza del pronao e semicolonne in prosecuzione addossate all'esterno del muro della cella. Le colonne del pronao e quelle collocate agli angoli della cella sono in travertino, le altre in tufo dell'Aniene. Probabilmente anticamente le parti in tufo erano intonacate per ricreare visivamente l'effetto del marmo. Nelle vicinanze l'itinerario prosegue verso la Casa dei Crescenzi (foto 9-16). L'edificio fu costruito tra il 1040 e il 1065 da un Niccolò, figlio di Crescenzio e Teodora, per controllare gli antichi mulini di Roma e il Ponte Emilio, sul cui transito la famiglia faceva pagare un pedaggio. L'edificio ha due piani (attualmente restano il piano terra e parte del piano superiore) e secondo le usanze dell'epoca, incorpora numerosi elementi architettonici di antichi edifici romani, tra cui le pareti, probabilmente resti di un bagno bizantino. La sovrapposizione caotica di stili e elementi è evidente nei capitelli in argilla sopra semicolonne sul lato sinistro, nelle mensole con cupidi, nel cornicione con beccatelli e nei resti della struttura a sbalzo, elementi che mostrano le numerose ristrutturazioni dell'edificio. Proseguendo verso est si incontra l'Arco di Giano (foto 17), edificato probabilmente alla metà del IV secolo (probabilmente deve essere identificato con l'Arcus Divi Constantini citato dai Cataloghi regionari presso il Velabro). In prossimità dell'arco si trova la chiesa di San Giorgio in Velabro (foto 18-24), edificata tra il IX e il XIII secolo. La facciata della chiesa è a salienti ed è preceduta dal bellissimo portico (foto 18-21), ricostruito nelle forme antiche dopo l'attentato del 1993. Esso era stato edificato nel XIII secolo, dono del priore Stefano [Di] Stella (frutto dell'assemblaggio in epoca medievale di elementi di spoglio di epoca romana). L'affresco del catino (foto 23-24) raffigura Gesù tra i santi Giorgio, Maria, Pietro e Sebastiano. Per secoli attribuito a Giotto, è piuttosto da considerarsi opera di Pietro Cavallini il quale l'avrebbe realizzato non tanto, come tradizionalmente ritenuto, nel 1296 su commissione del nuovo cardinale diacono Jacopo Caetani degli Stefaneschi, ma per volere del suo predecessore Pietro Peregrossi, creato cardinale nel 1288. L'itinerario si conclude camminando verso sud in direzione della della chiesa di Santa Maria in Cosmedin. La basilica, frutto dell'ampliamento sotto papa Adriano I (772-790) di un precedente luogo di culto cristiano attestato fin dal VI secolo, fu oggetto di un importante rifacimento nel 1123 ed è attualmente uno dei rari esempi di architettura sacra del XII secolo a Roma; è nota per la presenza nel nartece della Bocca della Verità (foto 27-28). La facciata della chiesa è rivolta ad ovest e dà su piazza della Bocca della Verità; è a salienti, richiamando la struttura interna a tre navate (foto 25). Il campanile (foto 26), con i suoi i 34,20 metri di altezza, è uno dei più alti di Roma. L'interno della basilica (foto 29-36) è a tre navate, ciascuna delle quali termina con un'abside semicircolare, senza transetto; il soffitto è a capriate lignee. Le navate sono separate da tre gruppi di quattro archi a tutto sesto intervallate da pilastri quadrangolari e poggianti su colonne marmoree di spoglio, con capitelli corinzi, in totale diciotto dei quali undici di epoca romana e i restanti frutto dei restauri di papa Gelasio II. Spicca anche il bellissimo pavimento cosmatesco. Nella zona presbiteriale è il bellissimo ciborio gotico, opera di Deodato di Cosma (1294), influenzato da quello della basilica di San Paolo fuori le mura che a sua volta fonde la tradizione cosmatesca con i nuovi influssi gotici di provenienza francese. Al di sotto della schola cantorum vi è la cripta dell'VIII secolo, forse il più antico esempio di tale tipologia di ambiente (foto 37-39). L'ambiente, la cui muratura di rivestimento interno risale all'VIII secolo, è a pianta rettangolare, con soffitto piano, con aula tripartito in navatelle di quattro campate ciascuna da colonne corinzie. Lungo le pareti laterali si aprono sedici nicchie semicircolari, utilizzate originariamente per accogliere le reliquie dei santi; nella muratura sono inglobati i resti del podio in blocchi lapidei dell'Ara massima di Ercole invitto. Peculiarità di questa cripta è il transetto, uno dei rari casi di reintroduzione nell'architettura carolingia di tale elemento, tipicamente costantiniano. In corrispondenza con la navatella centrale si apre una cripta semicircolare, all'interno della quale trova luogo l'altare (del V-VI secolo), rinvenuto e ivi collocato durante i restauri della fine del XIX secolo), il quale contiene le reliquie di Santa Cirilla ed è decorato sulle fiancate con delle croci a bassorilievo